ADORAZIONE DELL’ARTE
autointervista per
la rivista veneziana COMPOSIT
Siam pochi eletti,
beati oziosi
che disprezzano la vile
utilità,
del Bello
Assoluto i sacerdoti
Alexander
Pushkin
Per me l’arte è un
gioco, uno spettacolo, dove io sono attore, regista,
scenografo. Lo spunto d’idea può essere qualsiasi: una
frase sentita, una rima della poesia, un viso, uno
sguardo furtivo di passante. Spesso ricavo le mie storie
dai miti o fiabe trattati in maniera mutata, così io
cambio punto di vista sui luoghi comuni. Dietro quasi
ogni quadro c’è qualche racconto. Condivido un segreto:
se al posto del punto di affermazione si mette un punto
di domanda o punti di sospensione le cose semplici,
comuni, quotidiane si cambiano. Ogni dubbio porge le
domande che ci spingono a cercare le risposte, e possono
portarci in luoghi strani con altre prospettive.
Per esempio, ho un
quadro che si chiama “Tentazione dei doni”. Prima mi è
venuta in mente questa espressione come titolo ma non
sapevo ancora il soggetto. E un giorno ero seduto in
metropolitana davanti ad una signora con un bambino di
età di tre anni circa. Lui teneva nelle mani un
sacchetto di carta con delle caramelle. Qualcosa nel
comportamento del bambino mi attraeva ma non riuscivo a
capire che cosa. Intanto lui guardava nel sacchetto con
pazienza e attenzione non da bambino; ha infilato la
mano dentro frugando, scegliendo al tatto il voluto; poi
estrae la caramella, la libera dalla carta e mette in
bocca infilando insieme con essa le 4 dita della mano e
spalmando lentamente sulla lingua il dolce. Tutta quest’
operazione è stata eseguita con ritmo e senso della
cerimonia del tè giapponese. Ogni movimento era gustato
ed osservato da dentro. Era meditazione. Ho capito che
ho visto il Buddha! Così è nato il soggetto del quadro.
Tre fasi della tentazione: osservazione e sollecitazione
del desiderio, contatto con l’oggetto gradito e “saziamento”.
Preferisco non
spiegare troppo, il quadro non è segnaletica stradale,
deve avere spazio per lo spettatore. Proprio lo
spettatore è uno degli elementi principali dell’arte.
Cos’è l’arte? E’ la trasmissione delle emozioni! Se il
segnale lanciato dall’artista non trova o non arriva al
suo destinatario …? Ognuno, quando si mette a creare, ha
uno spettatore, un “target”, un destinatario anche
dentro di se stesso a cui rivolge la sua arte. Comunque,
mi piace quando parlano i quadri, quando sono
autosufficienti. Nei musei vediamo spesso “Maestro
ignoto”. Ma noi sentiamo quel Maestro che racconta via
quadro della sua vita e dell’epoca. Mi dispiace per
l’arte di oggi quando i quadri sono diventati muti e a
loro fianco deve parlare un tizio in giacca e cravatta
con la lingua sciolta per dargli valore.
Ognuno deriva
dall’infanzia. Da piccolo la domanda comune degli adulti
quando non sapevano chiedere altro: “Chi vuoi diventare
da grande?” la scelta mi metteva in imbarazzo. Perché
volevo essere tutto. Il mondo adulto era affermato e
noioso; diventare qualcuno, per me, come essere buono a
nulla. Mai visto un adulto contento di essere quello che
è diventato. Perciò sin da ora la forma solida e fissa
mi dà angoscia. Ora ho un mondo, un teatro riservato
solamente per me. Posso essere chiunque e nessuno,
viaggiare nelle epoche, paesi, nazioni. Io determino la
mia posizione filosofica nell’arte come liquido che può
prendere qualsiasi forma senza perdere qualità.
Mi stupisce il
mondo dell’arte con i suoi paradossi: dal principio è un
mondo delle bugie anche se ha tendenza ad essere
verosimile al creato o, al meno, sembrare la realtà; i
suoi mezzi marmo, bronzo, pigmenti, tela, parole, suoni;
tutti sono solo strumenti dell’inganno. Non esistono
questi tramonti, non esistono quelle lacrime, quel
sangue, le ferite e i fiori. Tutto inganno. Però, ci
commuove un pezzo di marmo scolpito da un 23-enne
fiorentino, i pigmenti penetrati 500 anni fa nell’
intonaco del muro della cappella, i suoni nati nella
testa di un giovanotto di Salisburgo. Quindi, nell’arte
conta più continuazione verticale che orizzontale. Non
importa quanti secoli tra noi. Il sentimento trasmesso
ci avvicina. E la “verità assoluta”, che pareggia l’uomo
con il Creatore, può essere solo vissuta come orgasmo,
ma mai capìta con la testa; ciò troviamo in queste
“bugie” dell’Arte.
Alexander Daniloff,
Rovigo, 2009
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Valeria S.Lombardi
dott.ssa storia dell'arte
contemporanea
Un'arte raggiunta,
matura, sapiente che non ha null'altro da aggiungere
perché con essa si è vi è la vera integra natura
dell'artista: ovvero di un'arte già carica di tutto
quello che si poteva sperare di poter trovare in un solo
artista. Così senza esitazione si può affermare,
descrivere e far conoscere la brillante mano e capacità
artistiche del russo Alexander Daniloff. I suoi lavori
sembrano davvero un compendio di bravura non solo
tecnica, ma anche artistica, dove le figure
rappresentate non sono solo immagini piazzate sulle tele
ma vere piccoli anfratti di storie da raccontare o
rappresentare. In scenari epici quasi di un tempo che
già pare trascorse o che invece deve ancora accadere.
Si denota poi una
capacità a creare volti con l'abilità scelta a
conferirne un’espressione e quasi ruolo, si veda ad
esempio il dipinto “Profeta” in esso, si risente come
l'alchimia del passato “realismo magico”,ma anche per la
scena proposta rammenta anche senza la drammaticità
profusa la crocifissione di Renato Guttuso.
Quello che poi si
evince con furore è la profonda abilità
tecnica-artistica di Alexander Daniloff a saper modulare
corpi che sembrano nella loro possezza richiamare ad
un'antica stagione come quella del manierismo, più che
ad un percorso stilistico alla Bottero, e così ritrovare
corpi voluminosi altamente ben fatti, pronti per
combattere (quasi la realizzazione di interi plotoni di
soldatini di metallo pronti a farci nuovamente tornare
bambini giocando per ore nella spensieratezza di una
battaglia) si veda quello del “Sonno”dove la corporeità
viene qui portata ad aiuto all'insieme delle vesti,
della divisa così poi abilmente descritte nella
scintillezza metallica dell'armatura.
Alexander Daniloff ha
descritto interi eserciti di figure che sembravano
pronte per farci ancor scorgere, sotto i nostri ammirati
occhi stagioni di epiche battaglie, dando in più anche
l'abilità alla scena, ai costumi , alle vesti inscritte
così proporzionalmente nello spazio.
Un'arte che dirsi
sublime è poco in quanto l'arte di Alexander Daniloff è
realmente impareggiabile, unica e molto più che
talentuosa, un'arte che va sicuramente preservata,
conservata per lasciarla ai nostri posteri.
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IL SEGNO DEL
MITO
di Marco
Palamidessi
Il mito,
racconto che stimola il volo pittorico della fantasia, è
alla base di larga parte della produzione figurativa di
Alexander Daniloff: per lui, la narrazione mitica
rappresenta per lo più un pretesto, una suggestione
letteraria, un riferimento per intraprendere un viaggio
epico che prima di farsi immagine accade nel profondo
della propria anima. La sua arte inventa qualcosa che
raggiunge le nostre sensibilità per mezzo di una via
sicura e immediata, un tipo di bellezza che ci seduce e
ci affascina, recando in sé i segni di un mondo talvolta
sconosciuto e fantastico, al quale aspiriamo dalle più
segrete profondità del nostro sogno. I paesaggi poetici,
le epifanie figurali, i simboli e le allegorie
partecipano tutti di questo superiore territorio
incantato, formando un clima quasi surreale in cui le
cose, così come le ha trasfigurate il pittore, svolgono
con assoluta naturalezza la loro esistenza. In quella
miniera improsciugabile che è la sacca da viandante che
egli ha ben stretta intorno alla vita, insieme alle
biglie colorate e ai tozzi di pane, Daniloff porta con
sé una grande conoscenza iconografica rafforzata in anni
di pratica pittorica. Sacca dalla quale attinge
continuamente, facendo in modo che ogni cosa sulla tela
si tramuti e si intessa delle atmosfere della favola.
Egli esprime con un modus pingendi personalissimo
la sua identità, trasponendo con una tecnica
inappuntabile l'insegnamento delle tradizioni, mentre i
suoi personaggi, nelle fattezze e nelle movenze,
echeggiano talvolta la saggezza di antichi maestri.
Partito dalla
Russia, dopo un lungo peregrinare attraverso paesi
lontani, Daniloff ha trovato in Lucca un luogo
miracoloso, una città dove, per merito di un'atmosfera
ineguagliabile, tutto può avvenire: un teatro la cui
trama di meraviglie urbane fortifica non poco la vena
creativa dell'artista. È proprio qui, in questo
suggestivo hortus conclusus, che egli ha
costruito il suo studio, fra giardini pensili e chiese
medievali. È proprio qui che vengono al mondo queste sue
opere, tele dove l'osservatore attento non mancherà di
individuare i colti rimandi, che al contempo sono
preziosi omaggi, oscillanti tra l'arte del Gotico
Internazionale e quella del Rinascimento sia italiano
che nordeuropeo. Un transitare ininterrotto fra le
epoche, quello di Daniloff, certamente non solo per i
temi affrontati: è un viaggio fra gli stili pittorici di
riferimento, che hanno contribuito via via a formare il
linguaggio inconfondibile del pittore. Disegnatore
eccezionale, l'artista predilige il virtuosismo formale
e il canto poetico delle accensioni cromatiche: i
soggetti tratti dal Vecchio Testamento, al pari delle
storie mitologiche e dei ritratti di sapore medievale,
sono resi con la stessa seducente e complessa
semplicità; il tutto si rafforza di una salvifica
ironia, con cui Daniloff smorza talvolta la rudezza di
certe rappresentazioni e la mestizia di taluni
personaggi.
L'ironia con
cui Daniloff affronta ogni opera non è mai invadente: è
una specificazione per evitare il rischio della
retorica, un segno con cui mitigare a volte un'apparente
solennità, eroica e celebrativa, propria del mito. Ogni
immagine viene meditata e risolta con la perizia di un
esperto miniatore: la preziosità delle trame visive è
raggiunta da una felice capacità gestuale al contempo
matura e continuamente rinnovata. Compaiono un'eleganza
e una gentilezza dei modi esecutivi, capaci di
equilibrare le masse cromatiche in un sapiente e
ponderato gioco di valori spesso opposti; c'è una sorta
di ritmo musicale anche laddove la composizione si può
presentare anche statica. Forza espressiva, ricercatezza
decorativa, liriche sensualità commiste ad inquiete
ironie fanno di Alexander Daniloff un artista che sa
nettamente distinguersi nel panorama pittorico attuale.
Lucca, 2012 |
SOFFI DI MEMORIA
le
dame, i cavalieri, l’ arme e gli amori
di Marcella
Guerrieri, storico dell'arte
Splendori d’arcadia, dolcezze d’amori e passioni, epici
eroi sempre vincitori, dame e cavalieri persi l’uno
nell’altro nell’illusione di uno sguardo. Dolci forme
dai colori avvolgenti e teneri che riscaldano l’animo
come un caldo abbraccio, linee fiabesche tondeggianti e
ininterrotte come in un racconto per bambini dove il
lieto fine è sempre atteso ed in agguato.
Il
mondo di Daniloff appare come un
wonderful
world. Appare, appunto, in fondo non ne siamo così
certi, ma l’apparenza è confortante. Così confortante da
possedere il taumaturgico effetto di un tuffo in una
tazza di cioccolata calda over-oversize. Troppo dolce,
troppo tondo, troppo tenero, troppo. Che tutto questo
sia poi ironico? Alexander Daniloff è in realtà il
mitico barbuto burattinaio della favola di Pinocchio:
lui è la mente che costruisce la storia, che ne traccia
il percorso e ne indica l’esito. E’ lui e solo lui a
tirare i fili dei suoi mitici quanto improbabili
personaggi. Autore, scenografo, attor unico: artifex,
colui che crea l’artificio, la finzione o in altre
parole la vera finta realtà. L’invito a scoprire
quest’arcadia contemporanea al contempo tenera e
beffarda è rivolto a quanti vorranno scoprire
l’effimero mondo di Alexander Daniloff.
Empoli, 2009 |
Dalla
presentazione per inaugurazione della mostra personale
di prof. Livio
Sossi, docente di Storia e Letteratura per l'infanzia
-- C'è nei suoi
dipinti, negli oli, nelle illustrazioni (ma in fondo la
pittura di Daniloff è riconducibile all'espressione
figurativa dell'illustrazione) tutto il fascinoso potere
dell'immaginario. I personaggi sono gli elementi
propulsori dei suoi racconti visivi, ma l'artista non
perde mai di vista l'importanza della scenografia,
decisamente teatrale. Daniloff sente quanto la scena sia
necessaria al racconto iconico fino a diventarne parte
integrante, fino a farsi luogo antropologico
dell'immaginario. La teatralizzazione diventa così mezzo
della sua stessa riflessione sul significato dell'arte
ed espressione della sua ricerca sull'uomo e sulla vita
stessa, parte integrante di un inconfondibile stile.
Così l'artista rappresenta sulla sua tavolozza scenica
il gioco affabulatorio del teatro, così comunica
all'osservatore il fascino del sogno, l'ambiguità del
doppio, il sussulto della paura, l'esplosione della
gioia. Le immagini di Daniloff costituiscono allora
anche un meraviglioso viaggio nel nostro inconscio
individuale e collettivo che consente di mettere a nudo
le nostre emozioni: è l'incontro con il perturbante, con
il Das Unheimbliche freudiano.
-- La figura umana
è centrale nella poetica dell'artista che ne coglie con
intensità luci ed ombre, pensieri ed emozioni, ambiguità
e tristezza, dolcezza e melanconia, bontà e cattiveria.
-- La poetica del
segno si manifesta in una dolce ironia e si avvale,
soprattutto nella scelta dei tagli compositivi, nelle
inquadrature e nelle suggestive prospettive, dei
linguaggi visivi del nostro tempo: la fotografia, il
cinema, riuniti in una perfetta sintesi iconica. Spesso
il figurativo fantastico che caratterizza l'esplorazione
dei miti e della storia, diventa surreale, metafisico e
simbolico. In questi lavori domina allora una componente
che definiremo onirica, affabulatoria e psicoanalitica.
-- E' soprattutto
una personale poetica del colore a caratterizzare la
sintassi iconica di Daniloff: è una grande lezione di
colorismo che attinge al folclore e all'epos mitico
russo. L'armonia cromatica è sottolineata da un
equilibrato e sapiente gioco visivo di luci ed ombre che
contribuisce a creare suggestive atmosfere. Spesso sono
anche qui luci teatrali o da set cinematografico che
definiscono nuovi universi di senso. L'arte di Daniloff
è tutta qui. In questo gioco poetico, teatrale e
visionario con cui delinea atteggiamenti e comportamenti
dell'uomo.
-- Con progressione
argomentativa e narrativa le immagini di Daniloff
evocano nel lettore espliciti rimandi alla sua
esperienza, evocano memorie di altri oggetti culturali
ad esse in qualche modo collegati. Chi osserva, chi
legge queste immagini compie un processo associativo per
certi versi analogo a quello da cui è partito l'artista.
Organizza e collega gli elementi iconici e le emozioni
provate al suo vissuto, alla memoria individuale e
collettiva. Riflette sulle scelte, sulle indicazioni,
sulle provocazioni fornite dall'artista con immagini che
sono sempre propositive, interrogative, polisemiche,
tali da generare un dialogo che prosegue nel tempo e
nello spazio. L'opera d'arte per Daniloff non è mai
conclusa. Esiste e si prolunga nella sua interazione con
il fruitore. Così Daniloff arricchisce il nostro
immaginario di nuove stimolanti figurazioni.
Dobbiaco, 2007
|
Dall’articolo “
Storie e immagini di fiaba”
di
prof. Sergio Garbato
-- Daniloff si è
diplomato alla scuola teatrale di Niznij Novgorod
(Russia) e di questa sua prima formazione porta ancora i
segni nella predilezione per i costumi e i mascheramenti
le prospettive che si dispiegano secondo capricci
prospettici non dissimili da quelli di una scenografia.
Ma ogni immagine viene restituita con la precisione di
un esperto calligrafo, che nelle vibranti accensioni
cromatiche insinua sempre un segno lungo e sottilissimo,
che ricalca appena il profilo di un oggetto, oppure si
spezza e si ricompone in una decorazione.
L’ispirazione
fa riferimento ad una ricchissima e complicata memoria
iconografica che fagocita e trasforma le immagini
secondo i ritmi e gli arbitrii della contaminazione,
così che gli antichi maestri italiani, da Simone Martini
a Giulio Romano, si sposano con i colori del circo e le
stampe popolari russe, in un gioco incessante di
alterazioni e metamorfosi, che si spingono nei paradisi
del sonno e della parodia, senza mai dichiarare il
surreale e la caricatura. Contano, in fatti, gli
sguardi, obliqui e ambigui, oppure timidi e sfuggenti,
che ai personaggi conferiscono una sorta di autonomia
dal mondo che li circonda. Così, lo sconcerto talora si
fa riconoscimento, l’elucubrazione affonda nella
perplessità, il mistero si trasforma in identificazione.
Anche se oggetti, animali e personaggi sono colti come
in una istantanea, Daniloff si suggerisce delle storie
che però dobbiamo costruire da soli, con l’aiuto di luci
ed ombre, espressioni inquietanti, paesaggi fiabeschi.
-- Certo, non è
difficile cogliere temi e rimandi di Daniloff: l’ironia
e l’inquietudine onirica, la miniera inesauribile delle
fiabe che si moltiplicano nel giro delle variazioni,
l’arte e il piacere della rappresentazione, ma anche la
solitudine e la tristezza di questi personaggi, che
assomigliano talvolta a quelli di Chagall, senza però
mai fuggire in volo, costretti ad essere uomini e donne
fino in fondo, magari acquattandosi in costumi sontuosi
o mimetizzandosi nel rito della storia e del trascorrere
dei secoli. Il mondo è una fiaba, che può essere triste
o allegra, dolce e violenta, affascinante e paurosa,
proprio come la vita.
Rovigo, "Il Resto del
Carlino", 9 aprile 2002.
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Critico d'arte
Lubov Saprykina
Viaggi in epoche
reali e mitologiche e cambiamento delle decorazioni e
dei costumi teatrali contribuiscono a creare una sorta
di teatralizzazione che diviene mezzo del pensiero
artistico, parte integrante dello stile di Daniloff, che
gli permette di raggiungere in pittura una particolare
grazia, che mostra contemporaneamente festosità e
drammaticità della vita scenica. La stilizzazione è
accompagnata da una dolce ironia che impregna di sé e fa
vibrare il tessuto pittorico e il disegno primitivizzato.
La precisione, la
flessibilità del disegno e la sottigliezza delle armonie
dei colori, proprie delle sue tele, permettono di
parlare di libero movimento del pittore all’interno
delle tradizioni artistiche della pittura riguardo
all’eterna discussione tra luce ed ombra, tratto e
colore.
Russia, Niznij
Novgorod, 1994 |
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